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A proposito della riforma degli istituti tecnici e professionali

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione del segretario provinciale prof. Vito Masciale

Via libera dal Consiglio dei Ministri alla riforma degli Istituti tecnici e professionali.
Un altro passo avanti nell’attuazione del PNRR Istruzione che punta a qualificare sempre di più il nostro sistema di istruzione, offrendo maggiori opportunità formative a ragazze e ragazzi, con una grande attenzione ai territori
Si vuole disegnare una filiera verticale e realizzare allo stesso tempo un patto educativo grazie al quale imprese, università, tessuto produttivo, territori, ITS Academy mettano a disposizione risorse e competenze per concorrere a migliorare istruzione dei nostri giovani, in linea con le prospettive di sviluppo del Paese. L’intento che anima la riforma è innovativo perché vuol colmare quel gap di cui le imprese, per prime, lamentano il peso per la loro crescita: la carenza di competenze professionali adeguate nelle nuove generazioni che entrano nel mondo del lavoro in continua evoluzione. Oggi è ancora un “ritardo strutturale ” del nostro sistema di formazione. Una realtà che il sistema attuale non è riuscito ad eliminare completamente perché troppo distanti le velocità con cui il mondo delle imprese evolve la propria struttura organizzativa e di produzione, con cui introduce processi e tecnologie avanzate, con cui avanza la richiesta di sempre nuove competenze professionali e la risposta del sistema formativo italiano(istituti superiori,tecnici e professionali e università) nel coprire con profili e professionalità tecniche e gestionali coerenti questa domanda di competenze. Questa riforma

almeno nelle intenzioni potrebbe essere una nuova, importante ma anche ultima possibilità d recuperare gran parte di queste distanze . I fondi del Pnrr si sa sono parecchio consistenti: complessivamente per la Missione 4 “Istruzione e Ricerca”, il piano mette 30,88 miliardi per il tema educativo e della produzione di conoscenza. Ma ne mette altri 4,4 miliardi per la sola Missione 5, “Inclusione e formazione”, dedicati alle nuove politiche attive del lavoro e della formazione. Fondi consistenti, ma che portano in dote rigorosi vincoli sull’investimento e sulle strategie per impiegare queste risorse . A cominciare da quei 660 milioni (per i cinque anni 2021-2026, circa 120 milioni l’anno) per collegare scuola e lavoro e superare il così detto mismatch , fenomeno che riguarda l’intero sistema dell’Istruzione e formazione professionale. Una criticità trasversale a tutti i livelli e ambiti dell’istruzione e della formazione fino a quella terziaria.

C’è un dato in più che il Pnrr auspica come premessa per una corretta impostazione della riforma: che Istruzione e Formazione inizino a collaborare nella definizione di politiche integrate sia in termini di programmazione dell’offerta formativa coerente con le richieste delle imprese e dei nuovi contesti produttivi, sia per supportare la transizione del sistema delle imprese e dell’istruzione in modo coerente, MA anche per costruire un momento di orientamento delle scelte dei giovani e delle famiglie più efficace e coerente con il mercato del lavoro. Ripensare e trasformare l’ultimo anno di scuola superiore in un “vero” periodo di orientamento è il primo criterio che il Pnrr fissa nei suoi vincoli di riforma del sistema complessivo della Formazione rivedendo l’ultimo anno di preparazione con «l’introduzione di periodi di stage in azienda che possano trasformarsi momenti di collegamento fra formazione e lavoro.

Nei decreti che saranno emessi entro il 2024 l’aspetto più difficoltoso sembra essere appunto : la coerenza, la costruzione e l’integrazione con lo sbocco professionale del dopo istituti superiori e scuola secondaria sia con l’Università ma soprattutto con il lavoro.
Questo per creare “percorsi differenziati in base alle scelte dei giovani”. E qui il primo richiamo è, nuovamente, per un maggiore allineamento fra il contenuto, i programmi e i percorsi di formazione delle scuole tecniche, ed eventualmente adattato costantemente in base ai riscontri con le imprese, a quelle che sono i fabbisogni e le esigenze del sistema produttivo e dei vari settori industriali e commerciali

In questo senso, a proposito di collegamenti fra scuola e lavoro, tra momenti formativi e mondo delle imprese, ma soprattutto per accorciare questa distanza, fra scuola e impresa, il Pnrr ha dato un’ulteriore e robusta spinta alla sperimentazione, in corso da qualche anno, di accorciare di un anno, da quattro a cinque, gli anni degli istituti tecnici e dei licei quadriennali al posto delle tradizionali superiori quinquennali in modo che in futuro gli studenti italiani potranno diplomarsi in quattro anni. Con l’obiettivo sempre di avvicinare i nostri giovani ai loro coetanei europei, che in tanti casi si diplomano a 18 anni anziché a 19 guadagnando un anno per gli studi universitari o per la ricerca del lavoro: la bozza di decreto del ministero dell’Istruzione, inviata per il parere al Cspi,, il Consiglio superiore della pubblica istruzione, organo tecnico consultivo del ministero, che esprimerà il suo parere, intende proprio accorciare una distanza anche in confronto a quanto già succede negli altri paesi europei, dove in molti casi gli studenti delle superiori si diplomano a 18 anni anziché a 19, avvantaggiandosi così di un anno nell’iniziare non solo un percorso universitario ma anche entrare nel mondo del lavoro. L’iniziativa, che dovrebbe riguardare almeno altri mille istituti superiori, scatterà dal prossimo anno scolastico 2022-23. Dal 2022/23 la sperimentazione raggiunge le mille scuole: licei e tecnici, se autorizzati, potranno partire nel 2022/23, gli istituti professionali dal 2023/24

Il Ministero dell’istruzione potrà autorizzare mille nuove prime classi sperimentali, caratterizzate da percorsi altamente innovativi e in linea con le nuove direttrici del Pnrr, oltre che di un anno più brevi. Sulla falsariga di quanto già accade in altri Paesi, come Francia, Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito. I percorsi di 4 anni dovranno garantire l’insegnamento di tutte le discipline previste dall’indirizzo di studi di riferimento, comprese educazione civica, transizione ecologica, sviluppo sostenibile, potenziamento delle discipline Stem, attraverso flessibilità didattica-organizzativa, incluso il digitale, e laboratoriale. Il tutto con una forte apertura a mondo del lavoro, ordini professionali, università e Its

Le scuole, statali o paritarie, che vorranno partecipare alla sperimentazione quadriennale dovranno presentare un progetto: gli studenti dovranno aver effettuato «un pregresso e regolare» percorso scolastico di otto anni; ci dovrà essere un potenziamento dell’apprendimento linguistico (attraverso l’insegnamento di almeno una disciplina non linguistica con metodologia Clil, a partire dal terzo anno di corso), più laboratori e insegnamenti opzionali e personalizzati, e una rimodulazione del calendario scolastico annuale e dell’orario settimanale delle lezioni.

Nella sostanza, e in base alla proposta del decreto, il via libero all’ampliamento della sperimentazione è previsto ma solo dopo aver definito con percorsi notevolmente innovativi e in linea con le nuove direttrici tracciate dal Pnrr, percorsi di un anno più brevi.

Quindi niente furbe scorciatoie ma rigorosi vincoli fissati dal Pnrr per questo passaggio. Nessuno sconto sulle materie d’insegnamento, che anzi prevedono non solo un potenziamento (lingue, più insegnamenti e laboratori personalizzati tra cui poter scegliere e una rimodulazione delle ore di lezione e del calendario scolastico), ma gli istituti che parteciperanno alla sperimentazione dovranno assicurare il raggiungimento delle competenze e degli obiettivi di apprendimento previsti per il quinto anno di corso.

Certo il quadro del futuro della scuola in Italia sarà più chiaro quando sarà resa nota la bozza sull’orientamento cioè il “primo anello della catena ” : come non essere d’accordo col prof. Ichino che propone un servizio di orientamento diffuso e facilmente accessibile per tutti, soprattutto i più giovani, capace di eseguire la profilazione delle attitudini e delle aspirazioni di ciascun individuo, il confronto tra le une e le altre e l’indicazione di itinerari di ricerca/formazione/riqualificazione realistici. un servizio capace di prendere in carico ogni adolescente all’uscita di ciascun ciclo scolastico di scuola media inferiore e superiore .

Tuttavia nessun servizio di orientamento può funzionare bene, se non è disponibile l’indice di efficacia di ciascun corso di formazione professionale disponibile .Questo indice è costituito dal tasso di coerenza fra formazione impartita in ciascun corso e sbocchi occupazionali effettivamente conseguiti da coloro che lo hanno frequentato. Per poterlo rilevare in modo sistematico è indispensabile istituire un’anagrafe della formazione professionale, i cui dati possano essere incrociati con quelli delle Comunicazioni Obbligatorie al ministero del Lavoro, delle iscrizioni a qualsiasi lista o albo per attività autonome , nonché alle liste di disoccupazione, secondo quanto già previsto – ma mai attuato – negli articoli 13-16 del decreto legislativo n. 150/2015. Ciascun centro di formazione professionale deve essere obbligato a pubblicare il proprio tasso di coerenza rilevato per i tre anni precedenti».

Un passaggio che indirettamente chiama in causa un ulteriore soggetto del sistema di formazione professionale, le Regioni. Gli assessori all’Istruzione di 11 Regioni hanno dialogato sulla riforma dell’orientamento che sta approntando il ministro Bianchi (Molise, Piemonte, Liguria, Sardegna, Toscana, Provincia Autonoma di Trento, Puglia, Veneto, Abruzzo, Lazio e Friuli-Venezia Giulia)e hanno presentato le rispettive buone pratiche,tra le proposte è emersa la necessità di un tutor –orientatore presso ogni scuola e la «necessità di promuovere una cultura diffusa dell’orientamento scolastico precoce fin dalle elementari , in un percorso che accompagni gli alunni dalle elementari alle superiori mettendoli così in grado di compiere scelte consapevoli, senza dimenticare il coinvolgimento delle famiglie e la formazione dei docenti. Un processo strettamente integrato con il territorio che risponda ad esigenze specifiche del mercato del lavoro locale»..

Per es noi abbiamo una grande economia l’economia del mare che richiede figure professionali e competenze nuove ma che gli istituti tecnici nautici e i professionali per le attività marinare non formano ancora.
Vito Masciale